martedì 24 aprile 2012

Brassaï e la fotografia analogica notturna



Recentemente un amico mi ha regalato un libro che mi ha permesso di conoscere un fotografo per me ancora ignoto. Si tratta del libro “Paris”, dedicato al fotografo francese Brassaï (pseudonimo di Gyula Halàsz – Brassò, oggi Brasov, 1899 – Nizza, 1984).
La scoperta di questo autore è stata per me una vera rivelazione e la sua opera una fonte di stimolo per le mie esperienze fotografiche.
La prima parte di questo bellissimo libro dedicato a Parigi raccoglie una corposa serie di fotografie notturne effettuate dal fotografo di origine ungherese nel corso dei suoi anni giovanili. Si tratta di scatti meravigliosi, suggestivi e pieni di fascino.
Brassaï ha dedicato alla fotografia notturna parecchio del suo tempo, frequentando l'ambiente della malavita e delle prostitute, dei lavoratori e dei locali notturni, esplorando il mondo dei tabarin e delle case chiuse, ma anche fotografando gli amanti nelle strade solitarie, le atmosfere nebbiose lungo la Senna, le strade bagnate dalla pioggia, i vicoli della Parigi antica.


Il primo libro di fotografie pubblicato da Brassaï nel 1933 fu “Paris de nuit”, libro che ottenne grande plauso nell'ambiente artistico dell'epoca testimoniando l'amore viscerale che Brassaï nutriva per la città di Parigi.
Brassaï approdò alla fotografia versò la metà degli anni '20. Da giovane studiò pittura e scultura presso l'Accademia di Belle Arti di Budapest ma dovette interrompere gli studi per arruolarsi nell'esercito austro-ungarico fino alla fine della prima guerra mondiale. Trasferitosi a Berlino nel 1920 riprese gli studi presso l'Accademia di Belle Arti lavorando nel contempo come giornalista. Nel 1924 si trasferì a Parigi e frequentò assiduamente il quartiere dei giovani artisti di Montparnasse. Divenne amico dello scrittore americano Henry Miller, che lo definì “l'occhio di Parigi”, e conobbe molti scrittori e poeti francesi come Léon-Paul Fargue e Jacques Prevert.
Per integrare i suoi articoli cominciò ad esplorare Parigi scattando fotografie con l'amico e collega ungherese André Kertész, scoprendo così il mondo della fotografia.
Fece amicizia con numerosi artisti dell'epoca tra cui Salvador Dalì, Pablo Picasso, Henri Matisse, e scrittori promettenti come Jean Genet e Henri Michaux. La sua attività di fotografo entrò nell'ambiente degli intellettuali e in quello dell'alta società. Frequentò il teatro e l'opera e la sua fama divenne internazionale con la pubblicazione delle sue fotografie in numerose riviste e l'esposizione in importanti gallerie. Nonostante la sua attività di fotografo fosse sempre più intensa mantenne il suo impegno in altre arti come il disegno, la poesia e la scultura, e si dedicò ad altre attività come la cinematografia, che gli valse il premio speciale della Giuria al festival di Cannes del 1956 con il film Tant qu'il y aura des bêtes.


Affascinato dall'opera di questo straordinario artista ho cominciato a leggere diversi articoli sparsi su internet e alcuni libri dedicati alla fotografia notturna, annotando il maggior numero di informazioni possibili. Tutto questo per cercare di orientarmi nel mio primo esperimento di fotografia notturna con l'utilizzo di una fotocamera analogica medioformato.
Non mi è ancora chiaro l'approccio che dovrò adottare per effettuare gli scatti, poiché le variabili della fotografia notturna sono tante e non è possibile seguire un metodo scientifico.

Prima di tutto bisogna valutare il tipo di luce presente nell'ambiente e quindi la temperatura colore che influenza la risposta cromatica della pellicola in uso. Questo è importante soprattutto quando si utilizzano pellicole o diapositive a colori, nel caso del bianconero queste variazioni assumono un'importanza relativa. L'utilizzo degli appositi filtri di conversione serve per correggere le dominanti cromatiche quando vengono utilizzate pellicole per luce diurna, ma anche utilizzando pellicole per luce artificiale non sempre siamo in grado di bilanciare i cromatismi della scena, visto che possono essere presenti diverse sorgenti di luce artificiale di tipo diverso l'una dall'altra.
Un metodo per risolvere questo problema potrebbe essere l'utilizzo del flash quando questo sia in grado di emettere un lampo capace di sovrastare completamente le luci artificiali presenti. La luce emessa dal flash copre infatti l'intero spettro cromatico producendo una temperatura colore simile a quella della luce diurna.
Esistono diverse fonti di luce artificiale lungo le nostre strade. I principali tipi di lampade sono quelle a scarica ad alta efficienza e producono diverse temperature colore: ai vapori di sodio (2200K), ai vapori di mercurio (3800K), multivapore (3200-5500K). Questo tipo di lampade produce un solo colore che influenza la scena: le lampade ai vapori di sodio sono quelle usate per “abbattere” la nebbia e producono una dominante gialla, mentre le lampade ai vapori di mercurio producono una dominante verde. Si dividono in lampade ai vapori di mercurio a bassa pressione e ad alta pressione. Quest'ultimo genere di lampade sta scomparendo dalle strade poiché vi sono diversi svantaggi. Hanno una bassa efficienza luminosa, una breve durata e sono difficili da smaltire a causa del mercurio. La vendita e l'installazione ai privati è stata vietata a partire dal 1° luglio 2006.
All'interno della categoria delle lampade ai vapori di mercurio a bassa pressione si possono includere le lampade fluorescenti (2500-8000K), un particolare tipo di lampade a scarica in cui l'emissione luminosa avviene attraverso un materiale fluorescente. Sono costituite da lampade o tubi contenenti un gas nobile (argon, xeno, neon o kripton) a bassa pressione mescolato con una piccola quantità di mercurio liquido. La superficie interna del tubo è rivestita di materiale fluorescente. Questo genere di lampade offre, rispetto alle lampade al tungsteno, il vantaggio di un minor consumo a parità di efficienza e di una vita media maggiore.
Infine vi sono le lampade al tungsteno (2700K), chiamate comunemente lampade incandescenti a filamento, per lo più presenti all'interno delle abitazioni e più raramente lungo le strade. A differenza delle lampade a scarica, che producono un solo colore, sono in grado di produrre l'intero spettro cromatico. La luce non viene emessa infatti attraverso una radiazione elettromagnetica bensì attraverso il riscaldamento di un filamento metallico. Nella fotografia di soggetti illuminati con lampade a incandescenza è quindi possibile utilizzare una pellicola tarata per luce al tungsteno per eliminare la maggior parte delle dominanti cromatiche.

Il secondo problema da affrontare nella fotografia notturna è il difetto di reciprocità, che si manifesta quando i tempi di scatto superano qualche secondo. Il fenomeno è conosciuto anche con il nome di effetto Schwarzschild, dal nome del suo scopritore, il matematico, astronomo e astrofisico tedesco Karl Schwarzschild. Questo fenomeno consiste nella perdita di sensibilità delle emulsioni fotografiche quando i tempi di posa sono lenti, a partire da 1 o 2 secondi, ma anche quando sono molto brevi, nell'ordine di 1/2000 di sec. Tale perdita costringe il fotografo a correggere il tempo di esposizione permettendo all'emulsione di registrare in maniera corretta la scena fotografata. Tuttavia, quando i tempi di posa sono molto lunghi, la compensazione dell'esposizione non produce gli effetti sperati e le dominanti cromatiche sono inevitabili.
I produttori di pellicole fotografiche forniscono tabelle che permettono di calcolare queste variazioni. Ogni pellicola si comporta infatti in maniera diversa non solo in relazione alla marca ma anche in considerazione delle caratteristiche intrinseche dell'emulsione.

Il terzo parametro da valutare è la scelta del rullino o meglio, della sensibilità più adatta alle fotografie notturne.
Molti fotografi preferiscono utilizzare rullini di media-alta sensibilità, convinti di sfruttare meglio la scarsa quantità di luce presente nella scena da fotografare. Questo produce però un aumento della grana, specie quando si vogliano realizzare stampe di grande formato.
Le pellicole più adatte sono le 100, 125 ISO, in grado di fornire una grana molto fine e quindi una maggiore nitidezza, ma anche una latitudine di posa abbastanza estesa. Molti fotografi usano rullini con sensibilità ancora inferiori (50 ISO) ma la principale controindicazione sta nella scarsa latitudine di posa e nel contrasto troppo marcato.

Altra considerazione riguarda la scelta del diaframma. Nella fotografia notturna è importante la profondità di campo e la resa dell'obiettivo. Per ottenere entrambe le cose è necessario chiudere il diaframma attorno a valori f/8 o f/11. E' possibile utilizzare diaframmi ancora più chiusi (f/16 – f/22) ottenendo il classico effetto delle luci a forma di stella. Il diaframma chiuso garantisce inoltre di ridurre gli effetti dovuti alle aberrazioni cromatiche, il cosiddetto purple fringing, di cui abbiamo parlato nell'articolo sulla fotografia notturna.

L'argomento più spinoso resta comunque la scelta dei tempi di posa.
E' difficile stabilire i tempi corretti con cui esporre la pellicola e pur basandosi sulle diverse esperienze riscontrate in internet e su quelle dei libri, il mio approccio sarà quello dell'esposizione "spannometrica". Fornito di carta e penna provvederò ad annotare tutte le variazioni e alla fine farò le mie personali considerazioni.

La fotocamera che mi accompagnerà negli esperimenti sarà la medioformato Yashica Mat 124 G, i rullini saranno invece gli Ilford FP4 (125 ISO).
Il diaframma scelto sarà f/8 oppure f/11, aperture che garantiscono, come abbiamo detto, ottimi risultati sia in termini di resa dell'obiettivo, sia in termini di profondità di campo.

Prossimamente i risultati...