Recentemente un amico mi
ha regalato un libro che mi ha permesso di conoscere un fotografo per
me ancora ignoto. Si tratta del libro “Paris”, dedicato al
fotografo francese Brassaï (pseudonimo di Gyula Halàsz – Brassò,
oggi Brasov, 1899 – Nizza, 1984).
La scoperta di questo
autore è stata per me una vera rivelazione e la sua opera una fonte
di stimolo per le mie esperienze fotografiche.
La prima parte di questo
bellissimo libro dedicato a Parigi raccoglie una corposa serie di
fotografie notturne effettuate dal fotografo di origine ungherese nel
corso dei suoi anni giovanili. Si tratta di scatti meravigliosi,
suggestivi e pieni di fascino.
Brassaï ha dedicato alla
fotografia notturna parecchio del suo tempo, frequentando l'ambiente
della malavita e delle prostitute, dei lavoratori e dei locali
notturni, esplorando il mondo dei tabarin e delle case chiuse, ma
anche fotografando gli amanti nelle strade solitarie, le atmosfere
nebbiose lungo la Senna, le strade bagnate dalla pioggia, i vicoli
della Parigi antica.
Il primo libro di
fotografie pubblicato da Brassaï nel 1933 fu “Paris de nuit”,
libro che ottenne grande plauso nell'ambiente artistico dell'epoca
testimoniando l'amore viscerale che Brassaï nutriva per la città di
Parigi.
Brassaï
approdò alla fotografia versò la metà degli anni '20. Da giovane
studiò pittura e scultura presso l'Accademia di Belle Arti di
Budapest ma dovette interrompere gli studi per arruolarsi
nell'esercito austro-ungarico fino alla fine della prima guerra
mondiale. Trasferitosi a Berlino nel 1920 riprese gli studi presso
l'Accademia di Belle Arti lavorando nel contempo come giornalista.
Nel 1924 si trasferì a Parigi e frequentò assiduamente il quartiere
dei giovani artisti di Montparnasse. Divenne amico dello scrittore
americano Henry Miller, che lo definì “l'occhio di Parigi”, e
conobbe molti scrittori e poeti francesi come Léon-Paul Fargue e
Jacques Prevert.
Per integrare i suoi
articoli cominciò ad esplorare Parigi scattando fotografie con
l'amico e collega ungherese André Kertész, scoprendo così il mondo
della fotografia.
Fece amicizia con
numerosi artisti dell'epoca tra cui Salvador Dalì, Pablo Picasso,
Henri Matisse, e scrittori promettenti come Jean Genet e Henri
Michaux. La sua attività di fotografo entrò nell'ambiente degli
intellettuali e in quello dell'alta società. Frequentò il teatro e
l'opera e la sua fama divenne internazionale con la pubblicazione
delle sue fotografie in numerose riviste e l'esposizione in
importanti gallerie. Nonostante la sua attività di fotografo fosse
sempre più intensa mantenne il suo impegno in altre arti come il
disegno, la poesia e la scultura, e si dedicò ad altre attività
come la cinematografia, che gli valse il premio speciale della Giuria
al festival di Cannes del 1956 con il film Tant qu'il y aura des
bêtes.
Affascinato dall'opera di
questo straordinario artista ho cominciato a leggere diversi articoli
sparsi su internet e alcuni libri dedicati alla fotografia notturna,
annotando il maggior numero di informazioni possibili. Tutto questo
per cercare di orientarmi nel mio primo esperimento di fotografia
notturna con l'utilizzo di una fotocamera analogica medioformato.
Non mi è ancora chiaro
l'approccio che dovrò adottare per effettuare gli scatti, poiché le
variabili della fotografia notturna sono tante e non è possibile
seguire un metodo scientifico.
Prima di tutto bisogna
valutare il tipo di luce presente nell'ambiente e quindi la
temperatura colore che influenza la risposta cromatica della
pellicola in uso. Questo è importante soprattutto quando si
utilizzano pellicole o diapositive a colori, nel caso del bianconero
queste variazioni assumono un'importanza relativa. L'utilizzo degli
appositi filtri di conversione serve per correggere le dominanti
cromatiche quando vengono utilizzate pellicole per luce diurna, ma
anche utilizzando pellicole per luce artificiale non sempre siamo in
grado di bilanciare i cromatismi della scena, visto che possono
essere presenti diverse sorgenti di luce artificiale di tipo diverso
l'una dall'altra.
Un metodo per risolvere
questo problema potrebbe essere l'utilizzo del flash quando questo
sia in grado di emettere un lampo capace di sovrastare completamente
le luci artificiali presenti. La luce emessa dal flash copre infatti
l'intero spettro cromatico producendo una temperatura colore simile a
quella della luce diurna.
Esistono diverse fonti di
luce artificiale lungo le nostre strade. I principali tipi di lampade
sono quelle a scarica ad alta efficienza e producono diverse
temperature colore: ai vapori di sodio (2200K), ai vapori di
mercurio (3800K), multivapore (3200-5500K). Questo tipo di lampade
produce un solo colore che influenza la scena: le lampade ai vapori
di sodio sono quelle usate per “abbattere” la nebbia e producono
una dominante gialla, mentre le lampade ai vapori di mercurio
producono una dominante verde. Si dividono in lampade ai vapori di
mercurio a bassa pressione e ad alta pressione. Quest'ultimo genere
di lampade sta scomparendo dalle strade poiché vi sono diversi
svantaggi. Hanno una bassa efficienza luminosa, una breve durata e
sono difficili da smaltire a causa del mercurio. La vendita e
l'installazione ai privati è stata vietata a partire dal 1° luglio
2006.
All'interno della
categoria delle lampade ai vapori di mercurio a bassa pressione si
possono includere le lampade fluorescenti (2500-8000K), un
particolare tipo di lampade a scarica in cui l'emissione luminosa
avviene attraverso un materiale fluorescente. Sono costituite da
lampade o tubi contenenti un gas nobile (argon, xeno, neon o kripton)
a bassa pressione mescolato con una piccola quantità di mercurio
liquido. La superficie interna del tubo è rivestita di materiale
fluorescente. Questo genere di lampade offre, rispetto alle lampade
al tungsteno, il vantaggio di un minor consumo a parità di
efficienza e di una vita media maggiore.
Infine vi sono le lampade
al tungsteno (2700K), chiamate comunemente lampade incandescenti a
filamento, per lo più presenti all'interno delle abitazioni e più
raramente lungo le strade. A differenza delle lampade a scarica, che
producono un solo colore, sono in grado di produrre l'intero spettro
cromatico. La luce non viene emessa infatti attraverso una radiazione
elettromagnetica bensì attraverso il riscaldamento di un filamento
metallico. Nella fotografia di soggetti illuminati con lampade a
incandescenza è quindi possibile utilizzare una pellicola tarata per
luce al tungsteno per eliminare la maggior parte delle dominanti
cromatiche.
Il secondo problema da
affrontare nella fotografia notturna è il difetto di reciprocità,
che si manifesta quando i tempi di scatto superano qualche secondo.
Il fenomeno è conosciuto anche con il nome di effetto Schwarzschild,
dal nome del suo scopritore, il matematico, astronomo e astrofisico
tedesco Karl Schwarzschild. Questo fenomeno consiste nella perdita di
sensibilità delle emulsioni fotografiche quando i tempi di posa sono
lenti, a partire da 1 o 2 secondi, ma anche quando sono molto brevi,
nell'ordine di 1/2000 di sec. Tale perdita costringe il fotografo a
correggere il tempo di esposizione permettendo all'emulsione di
registrare in maniera corretta la scena fotografata. Tuttavia, quando
i tempi di posa sono molto lunghi, la compensazione dell'esposizione
non produce gli effetti sperati e le dominanti cromatiche sono
inevitabili.
I produttori di pellicole
fotografiche forniscono tabelle che permettono di calcolare queste
variazioni. Ogni pellicola si comporta infatti in maniera diversa non
solo in relazione alla marca ma anche in considerazione delle
caratteristiche intrinseche dell'emulsione.
Il terzo parametro da
valutare è la scelta del rullino o meglio, della sensibilità più
adatta alle fotografie notturne.
Molti fotografi
preferiscono utilizzare rullini di media-alta sensibilità, convinti di
sfruttare meglio la scarsa quantità di luce presente nella scena da
fotografare. Questo produce però un aumento della grana, specie
quando si vogliano realizzare stampe di grande formato.
Le pellicole più adatte
sono le 100, 125 ISO, in grado di fornire una grana molto fine e
quindi una maggiore nitidezza, ma anche una latitudine di posa abbastanza
estesa. Molti fotografi usano rullini con sensibilità ancora
inferiori (50 ISO) ma la principale controindicazione sta nella
scarsa latitudine di posa e nel contrasto troppo marcato.
Altra considerazione riguarda la scelta del diaframma. Nella fotografia notturna è importante la profondità di campo e la resa dell'obiettivo. Per ottenere entrambe le cose è necessario chiudere il diaframma attorno a valori f/8 o f/11. E' possibile utilizzare diaframmi ancora più chiusi (f/16 – f/22) ottenendo il classico effetto delle luci a forma di stella. Il diaframma chiuso garantisce inoltre di ridurre gli effetti dovuti alle aberrazioni cromatiche, il cosiddetto purple fringing, di cui abbiamo parlato nell'articolo sulla fotografia notturna.
L'argomento più spinoso
resta comunque la scelta dei tempi di posa.
E' difficile stabilire i
tempi corretti con cui esporre la pellicola e pur basandosi sulle
diverse esperienze riscontrate in internet e su quelle dei libri, il
mio approccio sarà quello dell'esposizione "spannometrica". Fornito di
carta e penna provvederò ad annotare tutte le variazioni e alla fine
farò le mie personali considerazioni.
La fotocamera che mi
accompagnerà negli esperimenti sarà la medioformato Yashica Mat 124
G, i rullini saranno invece gli Ilford FP4 (125 ISO).
Il diaframma scelto sarà
f/8 oppure f/11, aperture che garantiscono, come abbiamo detto, ottimi risultati sia in
termini di resa dell'obiettivo, sia in termini di profondità di
campo.
Prossimamente i
risultati...