venerdì 21 settembre 2012

Caffenol: uno sviluppo a base di caffè


Qualche tempo fa ho scoperto la possibilità di sviluppare le mie pellicole con una formula completamente ecologica. Stavo analizzando le caratteristiche degli sviluppi commerciali che contengono il minor numero di sostanze pericolose per l'uomo e dannose per l'ambiente, finché ho trovato alcune pagine di un forum che proponeva l'utilizzo di questo strano sviluppo a base di caffè.
Il Caffenol è uno sviluppo che prevede una formula a base di caffè solubile non decaffeinato e soda solvay (attenzione: carbonato di sodio e non bicarbonato).




L'utilizzo di questi due soli ingredienti fornisce risultati non proprio soddisfacenti, ma con l'aggiunta di un terzo ingrediente, anch'esso completamente ecologico, si ottiene la formula del Caffenol C, ovvero Caffenol con l'aggiunta di vitamima C (acido ascorbico).


I risultati ottenuti sono decisamente migliori, specie per quanto riguarda l'aumento del contrasto, che il solo caffè solubile rende piuttosto blando.
Le pellicole che si prestano meglio allo sviluppo in Caffenol sono quelle di media sensibilità. Risultati di rilievo si sono ottenuti per esempio con la Rollei Retro 80 S, e comunque con tutte le pellicole fra 100 e 125 Asa, come per esempio la Fuji Neopan Acros 100 o la Ilford FP4 (125 ASA). Buoni risultati sono stati ottenuti anche con Fomapan 100 e T-Max 100.
L'acido caffeico si comporta come il pirogallolo, uno degli sviluppi più utilizzati alla fine dell'ottocento, con le stesse caratteristiche tannanti e coloranti e con un grande effetto di compensazione.
Navigando in rete si scoprono moltissimi fan sparsi in ogni parte del mondo e su flickr esistono diversi gruppi e discussioni sull'argomento.
Il vantaggio offerto da questo sviluppo è la completa assenza di sostanze chimiche dannose, pur non essendo il costo paragonabile a quello di alcuni sviluppi commerciali, decisamente più convenienti.
Esistono molte varianti che prevedono l'aggiunta di altre sostanze, come il sale iodato (Caffenol C-M)


oppure il bromuro di potassio (Caffenol C-L).


L'acido caffeico e l'acido ascorbico dosati nella giusta quantità creano il fenomeno della superadditività, una sinergia utile ad uno sviluppo più efficace.
Per ottenere risultati replicabili è importante utilizzare quantitativi precisi di tutti gli ingredienti, compresa quindi la soda e l'eventuale sale iodato o il bromuro di potassio. Bisogna quindi munirsi di una bilancia elettronica invece di seguire le istruzioni che si trovano su molti siti che indicano le quantità in cucchiaini...


Molto importante è la quantità di soda che viene utilizzata. Se la soda è troppa si forma un velo scuro, se è troppo poca la pellicola risulta sottosviluppata. Conviene comunque rimanere sotto i 2g/100ml.
Il velo chimico può essere ridotto con l'utilizzo del sale iodato (10-15g/litro).
Il bromuro di potassio (1g/litro) agisce allo stesso modo del sale iodato, riducendo il velo chimico in maniera più efficace rispetto a quest'ultimo e quindi adatto con pellicole più sensibili (400 ASA).

Per quanto riguarda gli ingredienti la soda solvay si trova nei supermercati (non tutti) fra gli scaffali dei detersivi. Ho notato che è più facile reperirla nelle piccole botteghe di paese piuttosto che nei grandi supermercati di città, dove si sono perse certe tradizioni, come appunto l'utilizzo della soda per lavare.
Il caffè solubile si trova in qualunque supermercato e vi consiglio il Nescafè Gusto Deciso. Vanno bene anche quelli che si trovano nei supermercati più economici, come Lidl o Eurospin, che permettono di risparmiare qualcosa sull'ingrediente fondamentale, ma cercate sempre quelli con il gusto più deciso (solitamente i grani sono più scuri, ma non è detto...).
La vitamina C (in polvere) può essere reperita con facilità nelle farmacie ma il costo è piuttosto elevato, specie per piccole quantità. Ho trovato in rete alcuni siti che vendono vitamina C in polvere in confezioni da 250 o 500g a prezzi decisamente convenienti. La vitamina C è contenuta solitamente all'interno di bustine chiuse ermeticamente che proteggono l'acido ascorbico dai processi di foto-ossidazione e dall'umidità ambientale, ma una volta aperte la vitamina C perde le sue proprietà piuttosto rapidamente e i risultati potrebbero risentirne, specie se l'utilizzo della polvere avviene dopo parecchie settimane dall'apertura della bustina. Il sintomo evidente dell'ossidazione è comunque l'ingiallimento. Se prevedete di fare pochi sviluppi acquistate piccole quantità, altrimenti le confezioni di cui sopra possono essere una valida alternativa.
Nel caso non doveste utilizzarla tutta per i vostri sviluppi potreste comunque assumerla sciolta dentro un bicchiere d'acqua per il rafforzamento del vostro sistema immunitario (e non solo).
Il sale iodato si trova anch'esso in tutti i supermercati e quello non utilizzato per i vostri sviluppi lo aggiungerete all'acqua di cottura della vostra pasta.

Caffenol C

Formula per 500ml


  • Caffè solubile non decaffeinato (tipo Nescafè Gusto Deciso):     20g
  • Soda Solvay (carbonato di sodio anidro):                                  8g
  • Acido Ascorbico (vitamina C):                                                  5g


Sciogliere il caffè solubile in 250ml di acqua deionizzata (basta poco tempo ma si può usare un cucchiaino per sciogliere eventuali grumi);
Sciogliere lentamente la soda solvay in 250ml di acqua deionizzata aggiungendo poi l'acido ascorbico (quando la soda è ben sciolta);
unire le due soluzioni, mescolare e lasciar riposare per circa 5-10 minuti (non far passare più di ½ ora).

Sviluppo:

Effettuare inversioni per i primi 30 secondi, battere la base della tank e lasciar riposare.
Effettuare 3 inversioni ogni minuto successivo.

Arresto:

Effettuare 3 cicli di lavaggio con acqua di rubinetto effettuando 5-6 inversioni.

Fissaggio:

6 minuti con Agfa Agefix o prodotto analogo

Lavaggio finale Ilford personalizzato:

riempire la tank di acqua corrente, effettuare 5 ribaltamenti, svuotare e riempire nuovamente con acqua effettuando 10 ribaltamenti, svuotare e riempire nuovamente con acqua effettuando 20 ribaltamenti, quindi svuotare, aprire la tank, collegare un tubo flessibile al perno centrale della tank e far scorrere acqua corrente per 10 minuti circa.

Effettuare un ultimo lavaggio con acqua distillata e imbibente lasciando riposare la pellicola nella tank per circa un minuto. Svuotare la tank e scuotere la spirale, quindi aprire la spirale e appendere la pellicola.


Sviluppo pellicole (a 20°)

Tempo: 15 minuti per 100-125 ASA, 20 minuti per 400 ASA.

Le pellicole oltre 400 ASA non sono consigliate poiché i risultati sarebbero decisamente più scadenti rispetto agli sviluppi tradizionali.
Per maggiori dettagli sui tempi di sviluppo vi invito a consultare le pagine internet dedicate all'argomento.

Una raccomandazione che voglio farvi è quella di non demordere, poichè le prime volte i risultati potrebbero essere molto deludenti, ma vi assicuro che quando comincerete ad ottenere i primi risultati apprezzabili la gioia di aver potuto sviluppare le vostre pellicole con questi ingredienti è davvero impagabile...

mercoledì 6 giugno 2012

Il ritratto fotografico




Il ritratto fotografico è un genere molto praticato, in special modo dai principianti, ma soltanto pochi fotografi si dedicano al ritratto seriamente e sono in grado di realizzare fotografie di un certo rilievo.
I fattori che determinano la riuscita di un ritratto sono molteplici e la conoscenza della sola tecnica non è sufficiente per ottenere scatti davvero riusciti. Esistono però alcune regole in grado di aiutarci e l'esperienza fatta sul campo sarà determinante per ottenere risultati sempre migliori.
Soltanto l'apprendimento delle corrette tecniche fotografiche unite ad una buona sensibilità garantiscono risultati soddisfacenti, ma prima di scattare dobbiamo interagire con il soggetto da fotografare, a meno che non si tratti di scatti “rubati” o di foto realizzate quando il soggetto non è consapevole di essere fotografato.
L'interazione con il soggetto è importante almeno in un caso, quando il soggetto è timido. Mettere a proprio agio la persona da fotografare è determinante per evitare che il viso e il corpo assumano pose innaturali, che lo sguardo sia fisso o l'espressione contratta. Se poi il soggetto è anche inesperto è compito del fotografo fare in modo che assuma la postura ideale per la realizzazione del ritratto. Una persona troppo sicura di sé, d'altronde, può creare talvolta dei problemi quando deciderà di sua iniziativa di assumere un atteggiamento eccentrico. Il suo volto diventerà una caricatura e sembrerà buffo o ridicolo.
La sensibilità del fotografo sarà poi determinante per creare la giusta intesa e fare in modo che il soggetto da fotografare non si trovi soltanto a suo agio ma sia anche felice, per così dire, di essere fotografato. Non sempre è un compito facile, specie quando non si abbia sufficiente tempo per un dialogo. In questo senso conta molto il carattere del fotografo, poiché il compito sarà facile per le persone comunicative, lo sarà meno per le persone chiuse o incapaci di dialogare.
L'esperienza è determinante, poiché anche il più timoroso dei fotografi riuscirà con il tempo a migliorare le sue capacità di interazione con il soggetto da fotografare. D'altronde non bisogna neppure esagerare. Dialogare a lungo può essere controproducente e bisogna imparare a mantenere il giusto equilibrio. A volte bastano poche parole per creare una buona intesa e un fotografo attento sa capire quando è arrivato il momento migliore per scattare. Spesso anzi il voler trascurare volutamente la propria intenzione di istruire il soggetto prima dello scatto contribuisce a rendere l'atmosfera più rilassata, specie quando gli scatti vengono effettuati all'aria aperta o comunque fuori da uno studio attrezzato. Ci si accorge subito infatti quando il soggetto non ha bisogno di tanti suggerimenti, e il nostro compito sarà così facilitato. Quando invece ci accorgiamo che la persona non si mette in posa come vorremmo, bisognerà essere risoluti e far compiere al soggetto i dovuti “aggiustamenti”.
Ricordiamoci di non commettere l'errore di far passare troppo tempo fra uno scatto e l'altro finendo per stancare il soggetto da fotografare. La pratica ci dovrà servire per evitare che i tempi morti facciano scomparire la naturalezza nel nostro soggetto.
Non tutti i soggetti naturalmente sono fotogenici. Ci sono visi più o meno interessanti e visi poco comunicativi, scialbi o persino sgradevoli. Il problema principale però non è tanto il tipo di viso quanto la capacità del soggetto di far trasparire in maniera intensa i propri sentimenti. L'espressione degli occhi è determinante e sono questi che danno rilievo al ritratto. I lineamenti del viso passano in secondo piano quando gli occhi sono in grado di esprimere un sentimento o di raccontare un'emozione. Il ritratto non è rappresentazione di un individuo fine a sè stessa e un volto dai tratti marcati o un viso pieno di rughe raccontano molte più cose di un volto bello ma inespressivo, poiché sarà l'espressione a raccontarci qualcosa comunicando con i nostri occhi di fotografo e quindi con gli occhi di chi osserverà le nostre fotografie.


Per realizzare un buon ritratto dobbiamo imparare a conoscere la nostra fotocamera, dimenticandoci per un attimo degli automatismi che, utili in determinate condizioni, non dovranno condizionare troppo il nostro lavoro.
E' importante rendersi conto di quali siano i corretti parametri esposimetrici e come influisca la luce, naturale o artificiale, sul soggetto da fotografare. Lo stesso si può dire per la messa a fuoco, che va impostata manualmente per evitare di mettere a fuoco particolari del volto a discapito di altri. La regola principale è quella di mettere a fuoco gli occhi del soggetto, specie quando il ritratto sia ravvicinato o molto ravvicinato.
Esistono diversi tagli nel ritratto fotografico, definiti piani, che identificano l'ampiezza del campo inquadrato:

1. particolare o dettaglio, che riprende un particolare molto piccolo del viso o del corpo


 
2. primissimo piano, che riprende il viso dalla metà del collo o dal mento
 



3. primo piano, che riprende il soggetto all'altezza delle spalle, definito anche "formato tessera"





4. mezzo primo piano, o mezzo busto, con la figura inquadrata all'altezza del petto





5. piano medio, o mezza figura, che riprende la figura dai fianchi o dalla vita in su




6. piano americano, che riprende il soggetto fino a metà coscia




7. figura intera, che riprende l'intero soggetto (piedi compresi...)


Naturalmente esistono tutti i passaggi intermedi fra le categorie indicate e la schematizzazione è utile solo per avere dei riferimenti di massima.
L'orientamento della fotocamera è prevalentemente quello verticale, ma se è scontato utilizzarlo per la figura intera (quando il soggetto è in piedi), non lo è altrettanto per il primo piano. Resto dell'avviso che non esiste una regola precisa e deve essere il fotografo a valutare di volta in volta quale sia la scelta migliore. Con la pratica sarà più facile decidere l'orientamento e verrà quasi spontaneo optare per l'una o l'altra soluzione.
Per concentrare l'attenzione sul soggetto da fotografare si può utilizzare un diaframma molto aperto per rendere sfocato lo sfondo. In questo modo si può anche nascondere uno scenario sgradevole e rendere lo scatto molto più convincente.
 

Nella composizione del ritratto bisognerà porre molta attenzione nella valutazione dello scenario e fare in modo che non vi siano particolari che disturbino vistosamente, come un lampione che spunta dietro la testa del soggetto, una brutta impalcatura o un grosso automezzo. La composizione dev'essere equilibrata e dare un senso di armonia.
L'inquadratura del soggetto viene fatta solitamente all'altezza del suo viso ma talvolta si può scegliere di effettuarla dal basso oppure dall'alto. Quando l'effetto prospettico non è esasperato un punto diverso da quello usuale può rendere la foto molto interessante.
 
  
Per quanto riguarda le condizioni di luce nelle riprese all'aperto bisogna ricordare che è meglio evitare le ore centrali della giornata, quando i raggi del sole sono più intensi e il cielo è limpido. Le ombre sono infatti molto marcate e la luce eccessiva può dare fastidio al soggetto.
 
 

Nelle giornate in cui il cielo sia invece nuvoloso o velato e vi sia comunque una buona luce le ombre meno marcate permettono di realizzare un ritratto dai toni decisamente migliori.

 
Un sistema per schiarire le ombre è l'utilizzo di pannelli riflettenti posti accanto al soggetto da fotografare, magari con l'aiuto di un assistente. In questo modo, creando cioè una luce più morbida, si riducono anche le eventuali imperfezioni della pelle.




Il ritratto può essere effettuato anche con un controluce laterale per mettere in evidenza la sagoma di un soggetto o per valorizzare i capelli fluenti di una donna. Anche in questo caso l'uso di un pannello riflettente è molto utile per schiarire le zone rimaste in ombra. Si può utilizzare un semplice pannello di polistirolo, una maglietta bianca o un ombrello bianco che rifletta la luce direttamente sul viso del soggetto.


Nel primo piano ravvicinato o nei ritratti che intendano descrivere un'atmosfera sognante o romantica si può usare un filtro diffusore (soft focus), che ha il vantaggio di nascondere i difetti della pelle.


Con una reflex 35mm gli obiettivi più utilizzati sono quelli con focale che va da 80 a 135mm (medio-tele). Una figura intera può essere ripresa con un 50mm e un primissimo piano con un 150mm. Questo tipo di obiettivi permette di riprendere il soggetto con la giusta prospettiva. Un obiettivo di focale minore, specie un grandangolare spinto, deforma la prospettiva e nelle riprese ravvicinate il soggetto assume un aspetto bizzarro.


La qualità dell'obiettivo non deve essere troppo alta per evitare di mettere in risalto i difetti della pelle. Esistono obiettivi speciali dotati della funzione soft focus (flou) che permettono di realizzare ottimi ritratti senza l'ausilio dei filtri diffusori.
Nelle riprese all'aperto e nei ritratti di reportage viene usata solitamente una reflex 35mm. L'ingombro dell'attrezzatura è minore e questo facilita non poco il lavoro del fotografo. All'interno di un studio fotografico vengono utilizzate prevalentemente le macchine medio formato, con pellicole più grandi (4.5x6, 6x6, 6x7, 6x9), che garantiscono una maggiore qualità, specie quando si intendano realizzare stampe di grande formato.
Nell'uso delle moderne fotocamere digitali molti problemi sono stati risolti, specialmente per la possibilità di visionare subito i risultati, ma la scelta degli obiettivi rimane la stessa, ricordando che la maggioranza dei sensori presenti sulle fotocamere digitali è di tipo APS-C (DX nelle fotocamere Nikon), un formato ridotto rispetto al 35mm. Il fattore di moltiplicazione rispetto al formato 35mm è solitamente di 1,5 (Nikon) o 1,6 (Canon). Questo significa che per sapere quali sono le focali più adatte con una fotocamera digitale nei suddetti formati bisogna moltiplicare la focale dell'obiettivo per 1,5. Un obiettivo fisso con focale 50mm diventa quindi un 75mm, uno zoom 18-105mm diventa un 27-157mm circa. Una fotocamera digitale pieno formato (full frame) non necessita naturalmente di questo calcolo perchè il suo sensore ha le stesse dimensioni delle pellicole di una reflex 35mm, ovvero 24x36mm.

martedì 24 aprile 2012

Brassaï e la fotografia analogica notturna



Recentemente un amico mi ha regalato un libro che mi ha permesso di conoscere un fotografo per me ancora ignoto. Si tratta del libro “Paris”, dedicato al fotografo francese Brassaï (pseudonimo di Gyula Halàsz – Brassò, oggi Brasov, 1899 – Nizza, 1984).
La scoperta di questo autore è stata per me una vera rivelazione e la sua opera una fonte di stimolo per le mie esperienze fotografiche.
La prima parte di questo bellissimo libro dedicato a Parigi raccoglie una corposa serie di fotografie notturne effettuate dal fotografo di origine ungherese nel corso dei suoi anni giovanili. Si tratta di scatti meravigliosi, suggestivi e pieni di fascino.
Brassaï ha dedicato alla fotografia notturna parecchio del suo tempo, frequentando l'ambiente della malavita e delle prostitute, dei lavoratori e dei locali notturni, esplorando il mondo dei tabarin e delle case chiuse, ma anche fotografando gli amanti nelle strade solitarie, le atmosfere nebbiose lungo la Senna, le strade bagnate dalla pioggia, i vicoli della Parigi antica.


Il primo libro di fotografie pubblicato da Brassaï nel 1933 fu “Paris de nuit”, libro che ottenne grande plauso nell'ambiente artistico dell'epoca testimoniando l'amore viscerale che Brassaï nutriva per la città di Parigi.
Brassaï approdò alla fotografia versò la metà degli anni '20. Da giovane studiò pittura e scultura presso l'Accademia di Belle Arti di Budapest ma dovette interrompere gli studi per arruolarsi nell'esercito austro-ungarico fino alla fine della prima guerra mondiale. Trasferitosi a Berlino nel 1920 riprese gli studi presso l'Accademia di Belle Arti lavorando nel contempo come giornalista. Nel 1924 si trasferì a Parigi e frequentò assiduamente il quartiere dei giovani artisti di Montparnasse. Divenne amico dello scrittore americano Henry Miller, che lo definì “l'occhio di Parigi”, e conobbe molti scrittori e poeti francesi come Léon-Paul Fargue e Jacques Prevert.
Per integrare i suoi articoli cominciò ad esplorare Parigi scattando fotografie con l'amico e collega ungherese André Kertész, scoprendo così il mondo della fotografia.
Fece amicizia con numerosi artisti dell'epoca tra cui Salvador Dalì, Pablo Picasso, Henri Matisse, e scrittori promettenti come Jean Genet e Henri Michaux. La sua attività di fotografo entrò nell'ambiente degli intellettuali e in quello dell'alta società. Frequentò il teatro e l'opera e la sua fama divenne internazionale con la pubblicazione delle sue fotografie in numerose riviste e l'esposizione in importanti gallerie. Nonostante la sua attività di fotografo fosse sempre più intensa mantenne il suo impegno in altre arti come il disegno, la poesia e la scultura, e si dedicò ad altre attività come la cinematografia, che gli valse il premio speciale della Giuria al festival di Cannes del 1956 con il film Tant qu'il y aura des bêtes.


Affascinato dall'opera di questo straordinario artista ho cominciato a leggere diversi articoli sparsi su internet e alcuni libri dedicati alla fotografia notturna, annotando il maggior numero di informazioni possibili. Tutto questo per cercare di orientarmi nel mio primo esperimento di fotografia notturna con l'utilizzo di una fotocamera analogica medioformato.
Non mi è ancora chiaro l'approccio che dovrò adottare per effettuare gli scatti, poiché le variabili della fotografia notturna sono tante e non è possibile seguire un metodo scientifico.

Prima di tutto bisogna valutare il tipo di luce presente nell'ambiente e quindi la temperatura colore che influenza la risposta cromatica della pellicola in uso. Questo è importante soprattutto quando si utilizzano pellicole o diapositive a colori, nel caso del bianconero queste variazioni assumono un'importanza relativa. L'utilizzo degli appositi filtri di conversione serve per correggere le dominanti cromatiche quando vengono utilizzate pellicole per luce diurna, ma anche utilizzando pellicole per luce artificiale non sempre siamo in grado di bilanciare i cromatismi della scena, visto che possono essere presenti diverse sorgenti di luce artificiale di tipo diverso l'una dall'altra.
Un metodo per risolvere questo problema potrebbe essere l'utilizzo del flash quando questo sia in grado di emettere un lampo capace di sovrastare completamente le luci artificiali presenti. La luce emessa dal flash copre infatti l'intero spettro cromatico producendo una temperatura colore simile a quella della luce diurna.
Esistono diverse fonti di luce artificiale lungo le nostre strade. I principali tipi di lampade sono quelle a scarica ad alta efficienza e producono diverse temperature colore: ai vapori di sodio (2200K), ai vapori di mercurio (3800K), multivapore (3200-5500K). Questo tipo di lampade produce un solo colore che influenza la scena: le lampade ai vapori di sodio sono quelle usate per “abbattere” la nebbia e producono una dominante gialla, mentre le lampade ai vapori di mercurio producono una dominante verde. Si dividono in lampade ai vapori di mercurio a bassa pressione e ad alta pressione. Quest'ultimo genere di lampade sta scomparendo dalle strade poiché vi sono diversi svantaggi. Hanno una bassa efficienza luminosa, una breve durata e sono difficili da smaltire a causa del mercurio. La vendita e l'installazione ai privati è stata vietata a partire dal 1° luglio 2006.
All'interno della categoria delle lampade ai vapori di mercurio a bassa pressione si possono includere le lampade fluorescenti (2500-8000K), un particolare tipo di lampade a scarica in cui l'emissione luminosa avviene attraverso un materiale fluorescente. Sono costituite da lampade o tubi contenenti un gas nobile (argon, xeno, neon o kripton) a bassa pressione mescolato con una piccola quantità di mercurio liquido. La superficie interna del tubo è rivestita di materiale fluorescente. Questo genere di lampade offre, rispetto alle lampade al tungsteno, il vantaggio di un minor consumo a parità di efficienza e di una vita media maggiore.
Infine vi sono le lampade al tungsteno (2700K), chiamate comunemente lampade incandescenti a filamento, per lo più presenti all'interno delle abitazioni e più raramente lungo le strade. A differenza delle lampade a scarica, che producono un solo colore, sono in grado di produrre l'intero spettro cromatico. La luce non viene emessa infatti attraverso una radiazione elettromagnetica bensì attraverso il riscaldamento di un filamento metallico. Nella fotografia di soggetti illuminati con lampade a incandescenza è quindi possibile utilizzare una pellicola tarata per luce al tungsteno per eliminare la maggior parte delle dominanti cromatiche.

Il secondo problema da affrontare nella fotografia notturna è il difetto di reciprocità, che si manifesta quando i tempi di scatto superano qualche secondo. Il fenomeno è conosciuto anche con il nome di effetto Schwarzschild, dal nome del suo scopritore, il matematico, astronomo e astrofisico tedesco Karl Schwarzschild. Questo fenomeno consiste nella perdita di sensibilità delle emulsioni fotografiche quando i tempi di posa sono lenti, a partire da 1 o 2 secondi, ma anche quando sono molto brevi, nell'ordine di 1/2000 di sec. Tale perdita costringe il fotografo a correggere il tempo di esposizione permettendo all'emulsione di registrare in maniera corretta la scena fotografata. Tuttavia, quando i tempi di posa sono molto lunghi, la compensazione dell'esposizione non produce gli effetti sperati e le dominanti cromatiche sono inevitabili.
I produttori di pellicole fotografiche forniscono tabelle che permettono di calcolare queste variazioni. Ogni pellicola si comporta infatti in maniera diversa non solo in relazione alla marca ma anche in considerazione delle caratteristiche intrinseche dell'emulsione.

Il terzo parametro da valutare è la scelta del rullino o meglio, della sensibilità più adatta alle fotografie notturne.
Molti fotografi preferiscono utilizzare rullini di media-alta sensibilità, convinti di sfruttare meglio la scarsa quantità di luce presente nella scena da fotografare. Questo produce però un aumento della grana, specie quando si vogliano realizzare stampe di grande formato.
Le pellicole più adatte sono le 100, 125 ISO, in grado di fornire una grana molto fine e quindi una maggiore nitidezza, ma anche una latitudine di posa abbastanza estesa. Molti fotografi usano rullini con sensibilità ancora inferiori (50 ISO) ma la principale controindicazione sta nella scarsa latitudine di posa e nel contrasto troppo marcato.

Altra considerazione riguarda la scelta del diaframma. Nella fotografia notturna è importante la profondità di campo e la resa dell'obiettivo. Per ottenere entrambe le cose è necessario chiudere il diaframma attorno a valori f/8 o f/11. E' possibile utilizzare diaframmi ancora più chiusi (f/16 – f/22) ottenendo il classico effetto delle luci a forma di stella. Il diaframma chiuso garantisce inoltre di ridurre gli effetti dovuti alle aberrazioni cromatiche, il cosiddetto purple fringing, di cui abbiamo parlato nell'articolo sulla fotografia notturna.

L'argomento più spinoso resta comunque la scelta dei tempi di posa.
E' difficile stabilire i tempi corretti con cui esporre la pellicola e pur basandosi sulle diverse esperienze riscontrate in internet e su quelle dei libri, il mio approccio sarà quello dell'esposizione "spannometrica". Fornito di carta e penna provvederò ad annotare tutte le variazioni e alla fine farò le mie personali considerazioni.

La fotocamera che mi accompagnerà negli esperimenti sarà la medioformato Yashica Mat 124 G, i rullini saranno invece gli Ilford FP4 (125 ISO).
Il diaframma scelto sarà f/8 oppure f/11, aperture che garantiscono, come abbiamo detto, ottimi risultati sia in termini di resa dell'obiettivo, sia in termini di profondità di campo.

Prossimamente i risultati...

lunedì 26 marzo 2012

Fotografare il movimento




La rappresentazione di soggetti in movimento pone il fotografo davanti ad una scelta di carattere interpretativo, decidere di congelare l'azione nel momento della sua massima espressione oppure rappresentare il soggetto attraverso un effetto di mosso efficace.
Nella prima ipotesi non ci sono dubbi. Il soggetto esprime in maniera inconfondibile un'azione e fermare il movimento non toglie eccessivo dinamismo all'immagine. Nella fotografia sportiva o in quella naturalistica si ricorre spesso a questa scelta senza togliere espressività al gesto di un atleta o al movimento di un animale che corre.



Per congelare l'azione è necessario prima di tutto stabilire il tempo di posa, elemento che varia non solo in funzione della velocità del soggetto ma anche in relazione alla direzione dello stesso rispetto alla fotocamera. Un soggetto che si muove parallelamente rispetto al piano della pellicola richiede un tempo di posa più breve rispetto ad un soggetto che si muove a 45 gradi oppure perpendicolarmente allo stesso piano.
Quando i soggetti si muovono in maniera molto veloce, come nella fotografia sportiva, sono richiesti tempi di posa molto brevi, cosicchè, quando si voglia ottenere una certa profondità di campo e dovendo quindi impostare il diaframma su valori più chiusi, sarà necessario ricorrere ad una pellicola più sensibile (ISO più alti con una fotocamera digitale). E' per questo motivo che la fotografia sportiva richiede condizioni di luce ideali, poichè in condizioni di luce scarsa il fotografo è costretto ad utilizzare pellicole molto sensibili, con l'inevitabile comparsa di grana (rumore nel digitale).
Quando si decide di congelare l'azione è necessario individuare il momento migliore in cui scattare per esaltare la rappresentazione. Nella fotografia con soggetti umani si cerca di individuare il momento in cui i gesti o l'azione esprimono al meglio un certo significato, ma quando si fotografa un automobile in corsa non sempre fermare il movimento fornisce i risultati sperati poichè l'automobile potrebbe apparire ferma. L'alternativa in questi casi, ma non solo in questi, è rappresentata dall'utilizzo di un effetto di mosso che riesca ad imprimere allo scatto la massima forza espressiva. In questo caso verranno utilizzati tempi di posa più lunghi facendo in modo che l'effetto di mosso doni all'immagine la sensazione del movimento. Non è un compito facile poichè riuscire a individuare i giusti parametri richiede esperienza e, diciamolo pure, una certa dose di fortuna. Lo scatto è legato infatti al momento spesso irripetibile dell'azione e non è facile individuare e applicare con prontezza tutti i parametri. La tecnica del mosso è comunque molto affascinante con ogni tipo di soggetto e fornisce risultati molto particolari e di grande interesse creativo.


Esiste una tecnica di mosso molto efficace per dare incisività e dinamismo alle fotografie di soggetti in movimento, il cosiddetto panning.



Si tratta di una tecnica molto particolare con la quale si "rincorre" il soggetto muovendo la fotocamera nella sua stessa direzione ad una velocità che permetta di mantenere il soggetto all'interno dell'inquadratura effettuando poi lo scatto. I risultati sono di solito molto convincenti poichè lo sfondo risulta mosso fornendo dinamismo alla scena e la sensazione del movimento, mentre il soggetto principale risulta più o meno a fuoco. Non è necessario che quest'ultimo sia perfettamene a fuoco, anzi, una certa dose di mosso restituisce ulteriore dinamismo all'azione. E' necessaria un pò di pratica per ottenere i risultati sperati, ma si possono ottenere scatti davvero sorprendenti.
Una particolare tecnica di panning consiste nel seguire il soggetto a bordo di un'automobile o di una motocicletta. La fotocamera in questo caso è praticamente immobile e il panning è fornito dal mezzo sul quale ci troviamo. Naturalmente la tecnica è più efficace quando il soggetto si muove parallelamente al piano della pellicola.


mercoledì 7 marzo 2012

I filtri fotografici




Con l'avvento della fotografia digitale l'utilizzo dei filtri fotografici, già piuttosto trascurato nella fotografia analogica, è caduto quasi completamente in disuso. Per ottenere gli stessi effetti si preferisce ricorrere alle elaborazioni in camera chiara, rivolgendosi a strumenti sempre più sofisticati e potenti. Per comprenderne l'utilizzo è tuttavia necessario conoscere le modalità con cui i filtri fotografici intervengono alterando le condizioni di ripresa.
I filtri fotografici possono essere in gelatina, oppure in vetro o materiale plastico. Questi ultimi sono fissati su un supporto di forma circolare che permette di essere montato a vite o a baionetta davanti all'obiettivo. I filtri in gelatina, chiamati in questo modo perchè i primi filtri erano formati da una pellicola gelatinosa, sono costituiti da sottili lamine in materiale sintetico montate su telai di forma quadrata e facilmente intercambiabili, come nel sistema brevettato da Cokin.




Questo genere di filtri permette di essere utilizzato con tutti gli obiettivi, evitando al fotografo l'acquisto di filtri di diverso diametro da adattare alle varie ottiche.
I filtri in gelatina più famosi sono quelli del sistema Kodak Wratten. Nel 1912 la Eastman Kodak acquistò questo sistema dalle industrie Wratten e lo mise in commercio in una gamma molta estesa che copre tutte le applicazioni fotografiche. Molto conosciuti sono anche i sistemi prodotti dalla Fuji e dalla Lee Filters. Anche i filtri in gelatina vengono montati generalmente davanti alla lente dell'obiettivo, pur esistendo sistemi speciali, studiati per particolari obiettivi, che prevedono il montaggio del filtro dietro l'obiettivo. Al giorno d'oggi i filtri in gelatina sono abbastanza difficili da reperire, a meno di acquistarli attraverso internet a prezzi piuttosto alti.

Quando si decide di utilizzare un filtro fotografico, di qualunque tipo esso sia, bisogna considerare che assorbe una certa quantità di luce. E' necessario quindi tener conto del fattore di assorbimento per calcolare correttamente l'esposizione. Il fattore di assorbimento è generalmente indicato sulla montatura del filtro attraverso un numero seguito dalla lettera X. Si tratta di numeri in progressione geometrica che indicano le modifiche da apportare al tempo di esposizione oppure, in alternativa, al diaframma.
Un filtro con fattore di assorbimento 2X richiede un raddoppio del tempo di esposizione (1 stop), mentre un filtro 4X richiede di quadriplicare lo stesso tempo (2 stop), a parità di diaframma.
In alternativa si potrà modificare il diaframma lasciando inalterato il tempo di posa, allo stesso modo dell'esempio precedente, incrementando il diaframma di 1 o 2 stop. Un filtro con fattore di assorbimento 8X richiederà invece un incremento del tempo di posa o del diaframma di 3 stop (2x2x2). Per conoscere il valore in stop di tutti gli altri fattori di assorbimento bisogna rifarsi alle apposite tabelle poichè la variazione degli stop è legata ad una scala logaritmica e non aritmetica.

Le fotocamere reflex che calcolano l'esposizione attraverso il sistema TTL (through the lens) potrebbero far pensare ad una correzione automatica dei parametri esposimetrici, tuttavia il sensore lavora meglio quando calcola i valori attraverso la luce bianca e l'applicazione del filtro potrebbe falsare la lettura dei dati. Ricordiamoci quindi di calcolare l'esposizione e di moltiplicarla per il fattore di assorbimento prima di applicare il filtro.
Ricordiamo inoltre che tutti i filtri fotografici, anche quelli di ottima qualità, riducono lievemente la nitidezza a causa dello strato [vetro (materiale plastico) - aria] che si interpone davanti all'obiettivo. Vanno quindi usati tenendo conto della seppur lieve perdita di definizione delle nostre immagini. Anche per questo motivo è necessario tenerli sempre puliti ed evitare il più possibile di graffiarli.


FILTRI PER IL BIANCONERO

Nella fotografia bianconero vengono utilizzati i cosiddetti filtri di contrasto, che sono filtri colorati molto più densi di quelli usati per il colore. Sono definiti in questo modo perchè permettono di esaltare alcuni particolari che si confonderebbero, per la loro tonalità, con altri elementi della scena. Un tipico utilizzo viene fatto quando si voglia enfatizzare il colore del cielo per rendere maggiormente visibili le nuvole bianche.
Nonostante la maggior parte delle pellicole bianconero sia di tipo pancromatico, cioè sensibile a tutti i colori dello spettro (in realtà esse risultano più sensibili al rosso e al blu e meno al verde) e quindi in grado di registrare i colori, la differenza fra il rosso e il blu è meno evidente in una fotografia bianconero rispetto ad una fotografia a colori. E' per questo motivo che i filtri di contrasto possono aiutare il fotografo ad accentuare la differenza fra i diversi colori della scena.
I filtri di contrasto consentono, come i filtri utilizzati per il colore, di far passare in maniera prevalente i colori della stessa tonalità del filtro utilizzato e di limitare l'assorbimento degli altri colori. Un filtro arancio sarà quindi in grado di assorbire gli arancio e limitare l'assorbimento di tutti gli altri colori.
Limitare l'assorbimento significa semplicemente sottoesporre quei colori rendendoli più scuri di quanto siano realmente, mentre aumentare l'assorbimento dei colori dello stesso tipo di quelli del filtro significa sovraesporli, quindi renderli più chiari. E' per questo motivo che l'utilizzo di un filtro arancio in una fotografia bianconero rende il tono del cielo molto più scuro di quello ottenuto senza l'ausilio dello stesso filtro.




Come regola generale possiamo dire che ogni filtro schiarisce il proprio colore e scurisce quello complementare. Per conoscere l'influenza di ogni filtro sui toni delle nostre immagini basterà quindi osservare la ruota dei colori di Newton e vedere quali sono i colori dalla parte opposta a quella del filtro utilizzato:


colori complementari


Un filtro verde sarà quindi in grado di schiarire il fogliame e scurire una mela rossa o un campo di papaveri, mentre un filtro giallo sarà in grado di schiarire la pelle e scurire leggermente il colore del cielo. Un filtro arancio verrà usato per scurire in maniera marcata il cielo e schiarire la pelle nei ritratti, nascondendo rughe, efelidi e piccoli difetti della pelle. Un filtro rosso renderà il colore del cielo drammaticamente scuro e potrà essere utilizzato efficacemente nel glamour per schiarire la pelle rendendola molto bianca e levigata.


FILTRI PER IL COLORE

I filtri per il colore sono meno densi di quelli utilizzati per il bianconero e servono per ottimizzare la resa cromatica delle nostre immagini. Si suddividono in fitri di conversione e filtri di correzione.

I filtri di conversione sono utilizzati per adattare la temperatura colore della pellicola alle reali condizioni di luce presenti nell'ambiente.
Le pellicole fotografiche si suddividono generalmente in due categorie in relazione alla temperatura colore: pellicole per luce diurna normale o flash (5600K) e pellicole per luce al tungsteno o al neon (2700K).
Quando si utilizza una pellicola per luce diurna dentro una stanza illuminata da luce artificiale si noteranno vistose dominanti cromatiche color giallo-rosso che potranno essere corrette con l'utilizzo dei filtri di conversione.
Esistono due tipi di filtri di conversione: la serie 80 di colore blu e la serie 85 di colore ambra.
Il filtro di colore blu verrà usato per riprese in luce artificiale con pellicole per luce diurna (per eliminare l'eccesso di gialli), il filtro ambra verrà invece usato per riprese in luce diurna con pellicole per luce artificiale (per limitare la dominante blu).



I filtri di correzione (o compensazione) servono invece per correggere e compensare le piccole differenze cromatiche. Sono identificati dalla sigla CC (color compensating) e risultano piuttosto difficili da utilizzare visto che sarebbe necessario un termocolorimetro per misurare con esattezza le mutate condizioni di ripresa in relazione alla pellicola in uso.


FILTRI POLARIZZATORI

La polarizzazione è un fenomeno della fisica che produce un campo elettromagnetico nelle onde luminose riflesse da molte superfici. L'oscillazione che si viene a generare e la sua propagazione possono creare fenomeni di riflessione poco gradevoli.
E' possibile bloccare la luce polarizzata attraverso l'utilizzo di filtri polarizzatori che, oltre alla riduzione dei riflessi, contribuisce al miglioramento del contrasto per una maggiore saturazione cromatica.
Il filtro polarizzatore viene usato principalmente nella fotografia di paesaggio, in particolar modo per eliminare i riflessi prodotti dalle acque, ma anche per quelli prodotti dalle foglie e da altre superfici come le vetrate. Il suo uso non deve essere indiscriminato poichè l'eliminazione dei riflessi può apparire innaturale. 
Nella fotografia di paesaggio si rivela particolarmente utile per eliminare la foschia e per esaltare il colore del cielo o del mare.




Il filtro è montato su una ghiera rotante che permette di orientare l'asse  di polarizzazione per la regolazione dell'effetto.
Esistono due tipi di filtri polarizzatori: lineari e circolari. I filtri circolari vengono utilizzati con gli obiettivi autofocus.
Ogni fotografo dovrebbe possedere nella sua borsa almeno un filtro polarizzatore, perchè i risultati sono davvero sorprendenti.


FILTRI UV E SKYLIGHT

I filtri UV servono per assorbire parte delle radiazioni ultraviolette. Specialmente in alta montagna oppure al mare, dove i raggi del sole sono molto intensi, l'uso del filtro UV può servire per eliminare quell'effetto foschia che compare nelle nostre foto, permettendoci di ottenere una maggiore nitidezza. L'effetto è più evidente con le fotocamere analogiche, poichè le pellicole, pur avendo uno strato anti UV, risentono in particolar modo dei riflessi prodotti dalle radiazioni ultraviolette. Nella fotografia digitale il sensore sembra soffrire meno dei problemi dovuti alle radiazioni ultraviolette. Davanti al sensore è posto un filtro passa basso che, oltre a svolgere la funzione antialiasing, serve per eliminare la maggior parte dei raggi ultravioletti e infrarossi.
Nella maggior parte dei casi il filtro UV viene utilizzato come semplice protezione per le ottiche, a differenza del filtro skylight, un particolare filtro UV color salmone che svolge le stesse funzioni antifoschia dei filtri UV trasparenti, pur lavorando a frequenze leggermente diverse.





FILTRI ND

I filtri ND (neutral density) sono semplici filtri grigio neutro in grado di assorbire tutte le radiazioni dello spettro. Vengono utilizzati per ridurre il passaggio della luce e permettere di fotografare in condizioni di luce molto intensa e con tempi di posa anche molto lunghi. Il tipico utilizzo viene fatto quando si vogliano fotografare corsi d'acqua e dare un effetto sfumato a cascate o torrenti attraverso l'impostazione di lunghi tempi di posa. Vengono utilizzati anche quando si voglia ridurre la profondità di campo utilizzando diaframmi più aperti ma non sia possibile farlo a causa dell'eccessiva luminosità.
Sono disponibili con diverse densità identificate dalle sigle ND2, ND4, ND8 ecc. la cui cifra indica il fattore di assorbimento.
Un altro tipico utilizzo viene fatto nella fotografia architettonica quando si voglia eliminare completamente la presenza di persone davanti ad un palazzo o un monumento. Vengono utilizzati a questo scopo i filtri più potenti (ND400) e tempi di posa molto lunghi.





FILTRI INFRAROSSI

Il filtro IR lascia passare soltanto la parte invisibile dello spettro che si trova nella zona dell'infrarosso. L'utilizzo di questi filtri determina risultati davvero straordinari e di grande effetto creativo. Sono filtri piuttosto sottovalutati e meritano certamente di essere provati, sia con il bianconero, sia con il colore.





FILTRI DIFFUSORI

I filtri diffusori servono per ammorbidire le immagini riducendo il dettaglio e il contrasto. Vengono usati principalmente nella fotografia di ritratto per creare atmosfere sognanti e molto particolari. L'effetto del filtro diffusore si riduce molto chiudendo il diaframma, quindi è necessario lavorare ai diaframmi più aperti, che permettono oltretutto di ottenere una ridotta profondità di campo, spesso ricercata proprio nel ritratto. E' possibile costruire un filtro diffusore semplicemente con l'utilizzo di una semplice calza di nylon o di lycra fissata all'obiettivo con un elastico.





FILTRI SFUMATI

I filtri sfumati vengono anche definiti filtri digradanti e sono formati da una parte colorata sfumata verso il centro e una trasparente. Di forma rettangolare oppure circolare per essere avvitati agli obiettivi, sono di vari colori e permettono di equilibrare forti contrasti luminosi. In corrispondenza di un cielo sovraesposto si potrà porre per esempio la parte colorata lasciando la restante parte del fotogramma nel tratto trasparente del filtro.
L'esposizione va calcolata nella zona più scura del fotogramma, per esempio il terreno, prima dell'applicazione del filtro.
I risultati migliori si ottengono quando il passaggio fra le zone molto luminose e quelle più scure è lineare, come l'orizzonte piatto di una campagna. Infine ricordiamo che il passaggio fra la zona trasparente e quella sfumata sarà tanto più evidente quanto più aperto è il diaframma.


venerdì 17 febbraio 2012

La fotografia notturna



La fotografia notturna rappresenta da sempre un affascinante momento rappresentativo. Un paesaggio ripreso dopo un tramonto, quando l'oscurità è imminente ma c'è ancora un barlume di luce, rende le nostre immagini molto suggestive e particolari. Lo stesso accade al mattino, quando la prima luce del giorno costruisce forme e rivela sensazioni. Il fascino di questi scatti è quasi sempre maggiore di quelli ottenuti quando l'oscurità è completa e i soggetti sono illuminati soltanto da luce artificiale.


La fotografia notturna richiede un approccio meditato. La scelta della giusta inquadratura rappresenta uno degli elementi più determinanti per la riuscita dei nostri scatti. Dobbiamo essere in grado di valutare con chiarezza quali siano gli elementi della composizione che imprimono forza alla nostra rappresentazione, sia essa un tramonto, un alba o un paesaggio urbano. Spesso ci fossilizziamo su temi triti e ritriti, senza considerare che possono essere fotografate le cose più disparate, le più impensate. Ed è un lavoro stimolante pensare a cosa ci piacerebbe fotografare in luce notturna, perchè questo imprime ai nostri scatti una forza particolare che li rende unici.

 

La prima considerazione riguarda l'uso del cavalletto. Una fotografia notturna necessita di questo importante accessorio poichè la scarsa luce ambientale, o la presenza di sole luci artificiali, richiede tempi di posa lunghi, cosicchè il cavalletto è il presupposto indispensabile per una perfetta immobilità della nostra fotocamera.
Altro importante accessorio è lo scatto flessibile (oppure il telecomando), naturale estensione all'uso del cavalletto per ottenere scatti perfettamente nitidi.
La qualità di una fotografia notturna è legata in maniera esplicita all'ottica utilizzata. E' necessario disporre di un obiettivo di buona qualità e piuttosto luminoso, capace cioè di lavorare a diaframmi molto aperti. Questo ci consente di sfruttare nel migliore dei modi la residua luminosità ambientale, riproducendo con chiarezza i dettagli più scuri che, con un obiettivo meno luminoso, richiederebbero tempi di posa più lunghi, o peggio, ISO più alti.
Un altro importante fattore è dunque la sensibilità ISO della pellicola nelle fotocamere analogiche ovvero quella del sensore nelle fotocamere digitali.
In condizioni di scarsa luminosità una pellicola sensibile (valore ISO più alto) ci consente di ottenere maggiori dettagli nelle zone più scure, a discapito però della grana (rumore nelle fotocamere digitali), che aumenta con l'aumentare della sensibilità. 
Le fotocamere digitali moderne permettono di contenere la quantità di rumore generata dal sensore ottenendo con il passare degli anni risultati sempre migliori a ISO sempre più alti. Grazie alla migliorata tecnologia sul trattamento del rumore, nel prossimo futuro sarà possibile scattare a mano libera in condizioni di completa oscurità ottenendo scene notturne oggi impensabili.
Un altro fattore da considerare è la scelta del diaframma con il quale si intende fotografare. Utilizzando diaframmi più aperti otterremo tempi di posa più brevi e una profondità di campo minore, mentre utilizzando diaframmi più chiusi si avranno tempi di posa più lunghi e una profondità di campo maggiore.
La scelta di queste alternative dipende dal soggetto fotografato e dai risultati che si intendono ottenere. Se per esempio fotografiamo una strada e intendiamo riprodurre l'effetto scia creato dai fari delle automobili è necessario scegliere un diaframma relativamente chiuso e un tempo di posa piuttosto lungo.


Teniamo presente che tutte le ottiche lavorano meglio ai diaframmi intermedi e che l'utilizzo dei diaframmi più aperti comporta in genere la comparsa di aberrazioni cromatiche e produce immagini con minor nitidezza.
L'aberrazione cromatica si manifesta con un alone colorato attorno ai bordi degli oggetti illuminati da una forte fonte luminosa, come le foglie di un albero in controluce o i lampioni di una strada.
Il fenomeno è conosciuto anche con il nome di purple fringing, i famosi aloni color viola attorno ai bordi delle immagini, e può essere ridotto grazie all'utilizzo di lenti che impiegano materiali a bassa dispersione come la fluorite.


purple fringing

 

Per contenere il fenomeno del purple fringing è necessario quindi chiudere il diaframma a valori intermedi, garantendo una resa ottimale del nostro obiettivo anche in termini di definizione. L'utilizzo di diaframmi più chiusi comporta la comparsa di suggestive luci a forma di stella come queste:


In condizioni di scarsa luminosità è spesso difficile affidarsi al sistema autofocus della fotocamera, cosicchè nelle condizioni più estreme dovremo essere noi a regolare il fuoco manualmente per ottenere i migliori risultati.
Lo stesso dicasi per i valori forniti dall'eposimetro che, in condizioni critiche, non riesce a fornire i corretti parametri di scatto. Se poi il nostro intento è utilizzare un determinato diaframma oppure un determinato tempo di posa, l'esposizione manuale è la miglior scelta.
Utilizzando una fotocamera digitale sarà possibile effettuare qualche prova e verificare quali siano i parametri più appropriati, mentre con una fotocamera analogica dovremmo affidarci all'esperienza e ad una serie di scatti della stessa scena con tempi e/o diaframmi diversi.
Con una fotocamera digitale bisognerà sempre affidarsi a scatti in formato RAW, che potranno essere corretti in post produzione modificando l'esposizione, il bilanciamento del bianco e altri parametri di scatto.